Quel giorno… andavo cercando il tempo… da sempre presente nella mia coscienza, ne annusavo i segnali e le cadenze…
Percepivo il suo ordine come conforto e il suo divenire come paura.
Avvertivo il “ senso del tempo” come una sorta di entità che mi rendeva inquieta e allo stesso tempo mi affascinava, attraendomi in una dimensione fuori dal mio controllo.
Il tempo è movimento, il movimento è progressione, è vita.
Queste iniziali riflessioni hanno suscitato l’esigenza di un approfondimento del tema, conducendomi ad una ricerca in grado di esaurire, quanto più possibile, lo studio analitico del movimento nello spazio come percezione visiva, passando dalla sua scomposizione per arrivare alla ricomposizione in un’unica immagine complessiva, capace di comprenderne l’intero svolgimento.
I primi confusi tentativi di esaudire quest’ansia d’immanentismo prendevano a prestito le immagine evocate dalle riprese fotografiche stroboscopiche e da quelle della cinematografia che utilizzavano la moviola e il feedback.
Le scene, delle quali ho curato la regia, rappresentavano storie antiche dei miei amati racconti mitologici, li interpretavano dei ballerini, scelti per la loro capacità, nella danza, di esprimere “muscolarmente” sentimenti e stati d’animo.
Grazie a questi studi ho ottenuto da un lato, una frammentazione documentale molto spinta per ottenere l’effetto rallenty, fino a cinquanta scatti fotografici in una unità di tempo da me prefissata, circa un secondo, con avanzamento della pellicola e dall’altro, senza questo avanzamento, la sovrapposizione dello stesso numero di scatti in un unico fotogramma.
Le riprese avvenivano contemporaneamente per salvaguardare la veridicità dei movimenti e degli atteggiamenti.
Diagnosi analitica di una sequenza quindi e visione sintetica della stessa.
… ossatura leggibile di un movimento e scia luminosa del suo evolversi …
… progressione nello spazio di tempo e di moto.
Il movimento si faceva racconto, il racconto un linguaggio della scultura.
Gli esiti ottenuti, per me molto probanti, hanno contemplato così ogni minimo spostamento avvenuto nell’azione, fissato per sempre in una serie di sequenze, al tempo stesso susseguenti e sovrapponenti.
Lo spazio della composizione scultorea si faceva stanza del racconto e suo limite.
Noncurante di ogni meccanico svolgimento, assecondavo l’invenzione del trascorrere del tempo come un susseguirsi fluido di sequenze spirituali tracciate per cercare un passaggio dell’anima.
Questi miei approfondimenti hanno trovato ordine in una serie di appunti editi dalla casa editrice Skira con il titolo “Epifania senza ombre “ e hanno dato origine ad una ricerca espressiva che ancora oggi continua caparbia.
La visione analitica del sentimento in progressione è venuta così a costituirsi come struttura portante delle mie figurazioni, fino a diventarne nucleo e cellula.
Mi andavo convincendo che la sperimentazione del concetto di movimento nella scultura potesse donarle il tempo, “… un prima e un poi…” dell’azione emotiva che intendevo rappresentare, il fascino evolutivo del trascorrere degli stati dell’anima in attimi o in decenni …
Mi sentivo consapevole del desiderio di utilizzare questo tempo ritrovato come una sorta di “veicolo spirituale”, capace di spostarsi all’interno della composizione, e il mio racconto si sarebbe potuto fare squisitamente intimistico.
Questo era il mio intento: privare il movimento della sua valenza meccanica e motoria per trasmettergli la capacità di essere soltanto un traghettatore.
Claudia Amari
Da : Studi sul movimento, 1992